domenica 30 agosto 2009

Il dramma birmano richiede una forte presa di posizione italiana.

La grave crisi politica che sta vivendo la Birmania provoca sconcerto e non può lasciare indifferenti né inattivi.Infatti si è di fronte a un vero e proprio punto di svolta nelle vicende interne di questo paese, importantissimo per gli equilibri geopolitici dell'area indocinese,dato che si trova al centro tra il Subcontinente indiano,l'area vietnamita e la Cina. Bisogna puntualizzare che la dizione ufficiale Myanmar, in luogo di quella antica e storica di Birmania,fu voluta dall'attuale Regime militare per umiliare le comunità minoritarie che vivono in quella nazione. In particolare ne hanno fatto le spese le comunità dei Karen,che sono stati steminati e costretti a fuggire nei vicini paesi della Thailandia e del Laos per evitare un vero e proprio genocidio. D'altro canto il regime del Myanmar è uno dei più famigerati del mondo. Già filocomunista, si è progressivamente trasformato in una brutale dittatura militare dedita ai più sporchi traffici del malaffare, specie quelli concernenti l'oppio e l'eroina,che lo hanno portato a essere condannato più volte in sede internazionale. Tutto ciò è avvenuto per dotare il regime di valuta pregiata,poichè l'economia è stagnante e la società civile è oppressa dalla più brutale repressione che sia mai avvenuta nella storia millenaria birmana. Per fortuna di questo paese, si è affermata nel corso degli anni una figura carismatica nella persona di Aung Sun Kye,che per le sue lotte di libertà in Birmania-Myanmar ha meritato di vincere il premio Nobel per la pace. Ma in queste ultime settimane pare che la situazione birmana sia arrivata a un punto cruciale,capace di determinarne il fututo. Infatti la straordinaria mobilitazione della società civile birmana è comprovata dalle manifestazioni di queste settimane che hanno visto in prima linea i monaci e le monache buddiste. Questo significa che il grado di sopportazione verso le violenze e le sopraffazioni di un regime oscurantista e corrotto è giunto al limite massimo. Perciò è necessario che la comunità internazionale si mobiliti per un Regime change pacifico ma effettivo,onde evitare ulteriori spargimenti di sangue,non più tollerabili né ammissibili. In modo particolare un ruolo di primo piano può essere svolto dall'Italia, se vi saranno delle scelte coraggiose e magari, dato il carattere umanitario della crisi, a carattere bypartisan.
Infatti è bene ricordare che proprio due coraggiose donne italiane, Emma Bonino, attuale Ministro delle Politiche Comunitarie, e l'onorevole Margherita Boniver,nella veste rispettivamente di Commissario europeo dei diritti umani e di sottosegretario di Stato nel precedente Governo, si sono prodigate e attivate in passato per sostenere le forze di libertà birmane, specialmente la carismatica leader Aung Sung Kye. Per ciò hanno ottenuto stima e considerazione nella comunità internazionale. Per di più l'Italia siede nel Consiglio di Sicurezza in qualità di membro non permanente per il biennio 2007-08 e presto ne assumerà la Presidenza. Allora perchè non assumere un posizione forte e condivisa in Parlamento,che serva da base operativa per avviare un dibattito in sede delle Nazioni Unite? Si potrebbe benissimo coinvolgere l'Unione Europea e la sua Commissione,dove l'Italia esprime il Commissario per la Giustizia nella persona autorevole del già Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini. Sarebbe opportuno indire una Conferenza internazionale di pace per la transizione democratica dalla Myanmar dell'attuale regime( che nessuno dei birmani pare più volere né sopportare) alla Birmania. Per fortuna modelli operativi similari non mancano nella storia delle relazioni internazionali italiane . Si pensi al processo di pacificazione e transizione del Mozambico,guidato proprio dall'Italia. Né del resto mancano organizzazioni non governative rispettate e apprezzate nel mondo, come la Comunità di Sant'Egidio ( visitata dal Presidente americano Bush, l'ultima volta che è venuto a Roma,proprio a sottolinearne la preziosa opera mediatrice),capaci di svolgere un ruolo di mediazione tra le parti in lotta per evitare inutili stragi. Gli strumenti non mancano:non deve mancare la volontà politica di usarli per fare della buona diplomazia dei diritti umani e dare al contempo all'Italia l'occasione prestigiosa di mostrare la sue capacità e la sua efficienza, nelle circostanze più difficoltose.
Una cosa è certa: non si può più restare indifferenti di fronte alle violenze che insaguinano l'antica Birmania.

Nessun commento: